La testimonianza è una linea retta e ad un unico senso. Rappresentare i fatti oggettivamente e suscitare la risonanza nel lettore, rendere cioè l’unilateralità della testimonianza nella bilateralità della letteratura è stato il grande merito di Levi e tutta la critica letteraria lo ha riconosciuto.
I libri di Levi testimoniano, non solo la storia terribile dell’Olocausto, essi non sono solo il racconto di un’esperienza lacerante ma individuale di un deportato di Auschwitz, si presentano piuttosto come un’analisi distaccata, lucida ed attenta della crisi che ha investito l’umanità all’epoca della seconda guerra mondiale. Ed anche se di questo tipo di letteratura si sono avuti molti esempi, subito si avverte, nei suoi scritti che oltre alla narrazione della dolorosa storia personale, c’è dell’altro. Nella scelta delle parole volutamente mai sopra le righe, nello scorrere piano della scrittura, si può leggere infatti anche una direzione, un progetto, una precisa volontà. Il lettore viene condotto, attraverso la descrizione, apparentemente semplice e lineare dei fatti, oltre il confine della contingenza, ben al di sopra del filo spinato che pretendeva di fermare ad Auschwitz l’uomo e la sua dignità.
Questa volontà era diventata l’importante levatrice attraverso la quale nascevano i suoi libri in una singolare e felice convergenza della scienza e della letteratura, dell’intelligenza e della sensibilità, espressa nel suo tipico stile narrativo conciso ed intenso.
Il ricordo è sempre un atto, un’azione volta a rievocare, a riportare in vita un frammento di passato. Ad Auschwitz, per Levi, il ricordo della poesia dantesca funziona da filo d’Arianna, il ricordo della parola poetica, snodandosi nella mente dell’autore, fa risalire in essa il ricordo di un passato in cui l’uomo era uomo e lo conduce, per svolte successive, a ritrovare la propria identità profonda, l’impronta archetipa dell’identità umana. L’identità che rivela, nei contorni netti della forma, la coscienza della propria dignità. L’uomo ha come proprio compito di essere uomo; è da questo atteggiamento etico che nasce la volontà morale di proteggere la dignità umana. Questa volontà è per Levi, la resistenza al sistema del Lager, un anti-luogo nel quale il compito principale è la distruzione del principio costituivo dell’umanità stessa: la dignità, quella che è data ad ogni individuo di poter essere uomo.
La grandezza di Levi come scrittore della testimonianza sta principalmente nel fatto che, filtrando le proprie emozioni, attraverso l’osservazione e la riflessione oggettiva, lucida e distaccata, egli ha saputo rappresentare la realtà del Lager con un personalissimo stile pacato, lucido ed estremamente moderato. Questo suo particolare stile narrativo come abbiamo giàavuto modo di accennare sopra, suscita nel lettore vasti echi di rispondenze emotive e inoltre amplifica la forza persuasiva della testimonianza oggettiva. Levi senza alzare il tono della sua voce fa in modo che a gridare sia il lettore. Egli, con la sua calma interiore, riesce a suscitare un vortice di emozioni nel lettore e dimostra che non c’èbisogno di mobilitare parole retoriche ed estreme per rappresentare le situazioni degradanti e drammatiche del Lager. È facile cadere infatti nell’esagerazione e nell’esibizione di sé tentando di descrivere l’indescrivibile. Le parole a volte diventano orpelli, ostacoli alla rappresentazione della realtà che nuda meglio si offre in ogni sua più piccola piega o venatura.
Osservando con sguardo oggettivo e cercando di capire incessantemente la terribile realtàdel Lager, Levi conduce il proprio libro assumendo questo tono sorprendentemente calmo e sobrio. Limitandosi al ruolo di testimone, lo scrittore affida "deliberatamente" ai lettori la possibilità del giudizio. La sua voce rimane interiore, non prende mai il sopravvento, anche se percorre il libro come un brivido, un sussurro. Sono i lettori che vengono portati ad intervenire moralmente contro le infamie narrate, diventa così la voce del lettore, il piùsevero giudizio nei confronti della storia. Moderando le sue emozioni Levi sapeva amplificare quelle dei lettori. Scegliendo la voce del testimone, quindi di una persona neutra, pur essendo egli stesso vittima, lo scrittore Levi era consapevole che questo suo linguaggio sarebbe divenuto uno strumento narrativo efficacissimo per trasmettere la forza delle sue emozioni.
Attraverso questa sua deliberata neutralità stilistica Levi porta il lettore a compiere scelte, a partecipare emotivamente alle azioni descritte, a decidere da quale parte deve ricadere la colpa, insomma riesce a coinvolgere il lettore fino a farlo sentire partecipe della realtà assurda in cui egli stesso si è trovato insieme ai suoi compagni di sventure e a farlo sentire empaticamente vicino ad esso. Conduce il lettore a diventare consapevole dell’ingiustizia storica subita e a sentirsi moralmente convocato al banco del giudizio. La sua narrativa, come riscontrava Calvino nella recensione apparsa su «L’Unità» nel maggio 1948, ha "una vera potenza narrativa".